Ho chiesto a Mino di Cecca di intervenire sull'argomento in questione. Ho pensato a lui perché nella vita
ricopre il duplice ruolo di allenatore di pallanuoto e di insegnante a scuola.
Ho pensato che l' esperienza parallela gli permettesse di avere una visione più profonda del delicato tema in questione.
Mai avrei pensato che sarebbe andato così in profondità.
Eccovi una testimonianza molto importante.
Quando ho visto il titolo, ho sprecato tutti i dieci minuti a riflettere.
L'argomento non è dei più facili, anzi. Durante quei dieci minuti ho pensato tanto al significato di quelle parole, alla situazione italiana di questo momento, all'atteggiamento di mio padre quando ero piccolo e giocavo nella piscina della mia città.
Paga, zitto e guida...
Non mi piacciono, non sono nella mie corde. Lo devo alla persona che dormiva in macchina aspettando che finivo l'allenamento perché l'allenatore non gli permetteva di poter entrare in piscina a guardarmi.
Lo
devo alla moglie che, a distanza di venti anni, mi ha confidato che, quando
avevo 15 anni, aveva parlato con l'allora mio allenatore per fargli capire che
aveva sbagliato... ma a me non l'aveva detto.
Se devo essere fiero nella mia
vita... è per aver avuto due genitori stupendi.
Come insegnate di sostegno
quest'anno seguo una ragazza orfana, quanto vorrei darle cose che non avrà mai!
I genitori per i ragazzi sono TUTTO. Sono una guida, sono la tranquillità, sono
l'educazione, sono la loro voglia di arrivare.
Di un ex presidente ricorderò
sempre queste parole: "non puoi sostituirti ai genitori". Aveva
ragione e l'ho capito con il passare del tempo. Spesso confondiamo il nostro
ruolo di allenatore. Pensiamo di essere i detentori del potere assoluto delle
menti dei nostri ragazzi. Influiamo sulle loro scelte e su quelle delle
famiglie additando al fatto che quando eravamo piccoli... avevamo più fame di
loro.
Ahimè, i tempi cambiano. I ragazzi passano con noi, in piscina, parte
della loro giornata. Abbiamo una potenzialità incredibile sull'insegnamento dei
valori perché in una società che va a rotoli, siamo gli unici a mettere regole
precise che non possono non essere rispettate.
Ma poi i ragazzi vivono altre
sei ore a scuola, 4 sui libri e su facebook, poi qualche minuto con gli
amici... Non siamo unici!
Lo scorso anno ho fatto il regista
di un'opera teatrale a scuola... mi è cambiata la vita, sono sfumate tante mie
certezze. Ero convinto che la mia passione per la pallanuoto superasse ogni
interesse, mi sono accorto che quello che per noi è solo una stupidaggine, per
chi la vive quella stupidaggine, è bella come la finale dell'Europeo di
pallanuoto.
Ripeto, noi siamo una parte bella
della vita di un ragazzo e il nostro assolutismo a volte ci torna contro.
Poi, come in tutte le cose, c'è il
rovescio della medaglia. I genitori questo discorso lo capiscono poco. Si
comincia a portare il figlio a fare sport per problemi fisici, però, dopo
qualche anno, i problemi fisici potrebbero essere dei loro allenatori (due
giorni fa un genitore ha ferito un allenatore di tennis).
Cosa cambia? Non lo
so! Penso che l'intoppo sia nella proiezione vincente dei desideri dei
genitori, i figli sono il loro prolungamento: ogni utile scappellotto per
correggerli, loro lo sentono sulla propria pelle.
Quando giocavo con il Latina
(proprio al Foro contro la Lazio di Vittorioso) il mio allenatore non mi ha
fatto entrare in acqua. Mia madre era più dispiaciuta di me. Lo ricordo ancora.
Conoscevo il motivo per cui non avevo giocato. Facile, non ero abbastanza
bravo. Mia madre pensava fossi mortificato, io, invece, consideravo la scelta
del tecnico una conseguenza di miei errori.
I genitori vorrebbero sempre
soddisfatti i sacrifici dei propri figli, non sapendo che proprio quel
sacrificio un giorno tornerà utile.
Gli allenatori ne chiedono sempre di più,
non sapendo che un giorno gli tornerà contro. Il rapporto tra i genitori e
gli allenatori è sempre al limite della sopportazione, ma se nessuno dei due fa
un passo avanti verso l'altro, si arriva fatalmente allo scontro.
Finisco per dare un consiglio che
spero possa essere di aiuto.
A scuola sono insegnante di sostegno... questo vuol
dire: essere un punto di riferimento per la classe.
Lavoro tanto sulle menti
dei ragazzi (bravi e meno bravi), poi riassumo agli insegnanti quali sono le
strategie migliori per aiutarli.
I risultati che ho ottenuto sono fantastici,
le classi cambiano radicalmente.
Ho veramente il piacere di andare a lavorare
perchè ogni giorno provo una soddisfazione nuova.
I genitori questo lo
percepiscono. Vengono da me per i colloqui e mi chiedono tanti suggerimenti.
Quelli che sono più combattivi, mi salutano con il sorriso appena finiamo di
parlare.
L'insegnante di classe deve essere esigente e chiedere sempre di più
agli alunni, io devo trovare una soluzione per ammorbidire le dinamiche
conflittuali.
Insieme funzioniamo.
Nella Lazio questo ruolo è inverso.
Io sono l'insegnante che pretende (e pretende tanto, c'è l'A1 dietro l'angolo,
un sogno per molti, una fortuna per loro), Riccardo Di Prete l'insegnante
(dirigente) che mi sostiene.
Insieme funzioniamo.
Se ogni associazione sportiva
avesse una persona dedicata al rapporto con i genitori, che vive in sintonia
con l'allenatore (che lo sappia anche criticare), ci sarebbe una risorsa
importantissima per il buon andamento sportivo di tutte le componenti della
società.
Sostenere vuol dire far vedere tutti gli aspetti dell'educazione che
non sia solo quella alla vittoria.
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complimenti all'intervento del Sig.Di Cecca.Un allenatore che ha anche l'esperienza scolastica e quindi di rapporto con i genitori.Ragazzi in crescita,fisica e mentale di cui non bisogna sottovalutare le eventuali difficoltà anche se questi a volte si fanno crescere più in fretta dovendo giocare in squadra con adulti,con allenamenti più impegnativi di coetanei e che devono scontrarsi anche con problemi scolastici e a volte famigliari.Ritengo quindi che il dialogo,cioè la comunicazione sia basilare con i ragazzi stessi e di condivisione con i genitori.Con i ragazzi molto spesso, con i genitori quando lo si ritenga opportuno;allo stesso tempo ritengo che il giovane debba sentire di potersi confrontare con il suo allenatore(come con il genitore),adulto di riferimento in piscina e che un genitore possa dialogare con l'allenatore nel momento in cui lo ritenga importante.Insieme per la maturazione di un individuo.Non mi si fraintenda.anche io penso che,così come a scuola,a volte alcuni genitori esagerino nell'interferenza,ma una buona organizzazione e chiarezza potrebbero essere di aiuto.E' vero anche che non tutti gli addetti,così come non tutti i genitori,sanno essere equilibrati e attenti.Sento e leggo tante belle parole su molti argomenti da addetti e non ,sul mondo della pallanuoto in cui mi ritrovo da qualche anno grazie a mio figlio,e ritengo che a volte non vengano seguite da fatti altrettanto belli.Quasi tutti si diventa genitori ed è il mestiere più difficile quasi come quello di chi lavora con i giovani.Comunicare,in un mondo di comunicazione, quella interpersonale è quella che si sta perdendo.In bocca al lupo a tutti.Con stima marzia Pellarini
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